C'è chi le chiama etimologie popolari, avete presente? Come quando si studia letteratura italiana e si legge che il cognome di Ugo Foscolo deriverebbe dalla parola greca per luce, phós, Ugo il "luminoso": in pratica si fa discendere il significato di una cosa o di un concetto dalla somiglianza col suono di un'altra parola, che indica cose o concetti diversi. Si chiamano paretimologie e nella letteratura classica erano un tópos utilizzato come vezzo fantasioso e dimostrazione di erudizione ironica e brillante, perché le etimologie così partorite erano completamente false, frutto dell'immaginazione raffinata dell'inventore.
In realtà il gusto per queste invenzioni sagaci è condiviso anche nella tradizione orale e popolare, nelle filastrocche, nei calambour, perché è divertente ingegnare la mente con questi giochi e lo facciamo sin da bambini, magari scherzando con la derivazione di nomi e cognomi nostri e dei nostri compagni di scuola.
Ricordo che anche il mio amato professore di italiano al liceo amava rapire la nostra attenzione di studenti con paretimologie che giurava fossero vere: per esempio, da buon napoletano sosteneva che Posillipo fosse il posto più bello del mondo, così bello che il nome stesso derivasse dalla potenza di quella bellezza e letteralmente significava "fa cessare il dolore", dal greco paùein lùpen. Devo confessare che non ho mai creduto fosse attendibile: che il prof. mi perdoni!Tutte queste premesse per parlare di… calli.
I calli sono belli?
La prima risposta istintiva di tutti è sicuramente NO!
Mi è capitato però di soffermarmi a pensare ai calli sentendo le mani, mie e di chi mi sta vicino: mi sono accorta che pur non scrivendo con la penna a mano da anni, ancora sento la presenza del "callo della scrittura" sul dito medio destro. Non è un callo vero e proprio, ma è un ricordo di un'azione che facevo abitualmente a scuola, per quasi vent'anni dalle elementari agli appunti universitari. Come nella ricerca archeologica, nell'analisi stratigrafica di un elevato o di una superficie, si riconoscono i segni delle azioni rimaste sul terreno o sulla materia, sia quando portano un accumulo (le unità stratigrafiche positive come i riempimenti, i tamponamenti, le costruzioni, ma anche i crolli), sia quando invece rappresentano un'asportazione (le unità stratigrafiche negative o quelle scomparse come le buche, i degradi, le rimozioni), così il corpo umano lavora per accumulazione, ci mostra segni di attività ripetute e concretizza le abitudini della nostra vita.
Forse la "natura" è una somma, un accumulo, al contrario della "cultura" per cui, per esempio, ci viene consegnato l'ideale del lavoro dell'artista nel procedere a togliere e levigare, come ci racconta Michelangelo per gli scultori e la materia.
Anche la storia e il tempo del resto sono sovrapposizioni di strati, più o meno materiali, e il metodo archeologico è universale, forse anche nella lettura del nostro corpo.
Spesso i calli sono malattie professionali in nuce: sono movimenti ripetuti, ispessimenti da lavoro, di cui i nostri "vecchi" erano orgogliosi, perché erano la dimostrazione chiara dell'adattamento a qualcosa di nobile come il lavoro manuale e dell'apprendimento di una regola d'arte, senza necessità di altre prove; sono deformazioni e protezioni, cuscinetti per difenderci.
Le carezze più sincere che ricordi sono quelle di mani callose, mani che sanno fare cose e continuano a farle con cura e dedizione.
I calli si creano per il tentativo di condizionamento del nostro corpo, per il disagio che le nostre attività creano, per difenderci dal dolore, ma paradossalmente diventano fonte di fastidio e possono fare male anche quando la causa del dolore è scomparsa e non c'è più: si prendono la loro esistenza autonoma e la possibilità di dolere. Forse allora i calli sono la somatizzazione della mancanza, di una mancanza che fa ancora male per un po', ma che passerà.
Quindi i calli sono belli?
In questo senso la mia risposta è sì, sono belli (dal greco antico kalós!) perché rappresentano la risposta fisica del nostro corpo alle cose che ci mancano, che ci hanno dato identità per un periodo e resteranno con noi anche dopo la fine della ripetizione, fino a diventare un ricordo senza dolore, come il mio callo della scrittura.





