Il 25 novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne (da parte degli uomini, bisognerebbe aggiungere), ho sempre partecipato a manifestazioni, eventi, cortei, così come l'8 marzo degli ultimi anni ho aderito volentieri allo sciopero transnazionale delle donne lanciato dal movimento Non Una di Meno.
Quest'anno 2020, segnato irrimediabilmente dalla pandemia da Covid19, sono ovviamente saltati i cortei fuori regione e si moltiplicano le assemblee on line, ma nella mia città ci sarà anche un presidio organizzato da Non Una di Meno nella giornata di sabato 28 novembre.
Ecco, in un anno così difficile per tutti noi, in questo post vorrei parlare semplicemente di me e della mia esperienza con la violenza di genere.
Quest'anno 2020, segnato irrimediabilmente dalla pandemia da Covid19, sono ovviamente saltati i cortei fuori regione e si moltiplicano le assemblee on line, ma nella mia città ci sarà anche un presidio organizzato da Non Una di Meno nella giornata di sabato 28 novembre.
Ecco, in un anno così difficile per tutti noi, in questo post vorrei parlare semplicemente di me e della mia esperienza con la violenza di genere.
Premetto subito che fortunatamente non ho avuto esperienze negative gravi: non sono mai stata molestata o violentata e non ho mai subito mobbing o altre situazioni gravi in nessun contesto della mia vita, lavorativa, familiare o personale, quindi non ho la minima intenzione di paragonare la mia limitatissima esperienza alle storie di violenza fisica e psicologica che vengono affrontate da troppe donne ogni giorno.
Lo ripeto per chiarezza.
Ho avuto la fortuna di non dovermi confrontare con esperienze traumatiche serie, ma è stata solo fortuna. Caso.
Perché il contesto in cui ognuna di noi è cresciuta e vive ha offerto e offre decine di occasioni possibili, da cui a fatica riusciamo a sganciarci e spesso anche a riconoscere: io stessa ho il dubbio di essere stata vittima di stalking, pur pensando di essere dotata degli strumenti intellettuali e culturali adatti a distinguere le situazioni. Ed è la mia esperienza con le parole violente e con la violenza psicologica che oggi vorrei raccontare in questo post. Nulla di più.
Chi di noi non si è sentita etichettare in modo spiacevole per aver scelto una mise troppo corta o un trucco non leggero? Magari sono state le nostre madri in buona fede (cultura patriarcale di lunga durata sotto la buona fede…) a ricordarci che di noi si fidavano, ma degli altri no e che "essere provocanti" era un pericolo.
Quante volte ci siamo sentite dire che ce l'eravamo cercata: magari non la violenza fisica- si spera!- ma quella verbale sì, la rispostaccia, l'insulto, perché siamo state indisponenti contro un uomo, un capo maschio, un padre, un fratello… Perché noi donne dobbiamo essere morbide, accoglienti, abili nel far passare la nostra linea non in modo autoritario, ma con le armi della seduzione.
Ancora oggi odio questo luogo comune, per cui saremmo sedute sopra la nostra fortuna, dote che ci consentirà di essere le padrone indiscusse del mondo, facendo credere agli uomini di comandare… La logica della Bond Girl o della mitica Circe: sempre la stessa sbobba cucinata dalla letteratura degli uomini. Che tristezza!
La stessa logica per cui la donna entra gratis in discoteca e ha più facilità a trovare compagnia se è sola. Che grande tristezza!
Io non ho mai desiderato ammaliare o comandare nessun uomo, ma ho sempre desiderato di poter avere gli strumenti per elaborare opinioni mie e poi per farle valere a parità di trattamento. Ci ho creduto così tanto da fare anche scelte importanti nel mio percorso lavorativo, senza piegarmi nell'inchino al capo di turno e pagando tutto il conto senza sconti, ma la cosa che ho trovato più inaccettabile e violenta, soprattutto per il contesto in cui mi stava avvenendo, è che, quando è stato il momento di combattere le mie opinioni e le posizioni conseguenti, i miei avversari hanno tirato fuori il miglior repertorio del luogo comune nell'ambito della discriminazione di genere.
Hanno iniziato con i pettegolezzi, attribuendomi avventure sentimentali per cui sarei stata screditata, non so bene nemmeno perché, visto che non ci trovavamo tra le educande Orsoline (che dio le abbia in gloria, per carità).
Hanno continuato con il ritratto della seduttrice, l'ammaliatrice che con una sete di potere degna di Lady Macbeth non faceva che portare alla rovina tutti quelli che l'appoggiavano nell'ambiziosa ribellione all'ordine.
Hanno aggiunto la presunzione, l'inaffidabilità, l'incapacità di "stare in un'organizzazione", intendendo che gli equilibri e i ruoli attribuiti all'interno di un organo complesso sono umilmente accettati da ognuno dei componenti per il bene ultimo e supremo del tutto, deciso rigorosamente altrove e da altri. Come in un ordine religioso, dove regna il mondo della fede, o militare, dove invece sono ordine e disciplina a governare.
La sensazione era sempre la stessa: il potere procede dal maschio alla femmina e il mio ruolo era chiaro: a me spettava l'ubbidienza.
Nei momenti più acuti di quel conflitto, in cui più mantenevo mia posizione, più crescevano le pressioni, anche attraverso la discriminazione delle soluzioni possibili (agli uomini in gioco al mio fianco si facevano ripetute offerte migliori per farli desistere, mentre a me fu fatta una sola proposta di rimozione che non era certo una promozione) hanno aggiunto gli insulti, le calunnie, i profili psicologici improvvisati e non richiesti, le accuse di aggressività, la contestazione disciplinare, l'esternazione del fastidio attraverso le critiche sul modo di essere e non di pensare (cose assurde, a pensarci ora, come "non mi piace la tua voce", "devi abbassare il tono") o sull'emotività che c'era stata occasione di mostrare.
Una donna viene sempre screditata come manipolatrice, unica colpevole da condannare: una Medea dotata di calcolo e falsa empatia di cui gli uomini sono tutti vittime innocenti: fratello, uomo, figli che siano…
Non ho mai capito perché abbia subito per mesi e mesi tutta questa falsa narrazione, completamente al di fuori di ogni competizione politica o professionale accettabile. Non ho mai capito nemmeno perché anche in altre relazioni personali legate a questa vicenda più ampia, mi sia sentita ripetere per settimane infinite con decine di mail e messaggi provenienti da ogni piattaforma possibile e utilizzabile, spesso anche attraverso interventi indiretti su miei contatti amici, valanghe di accuse e calunnie di vario genere, ma soprattutto allusioni al suicidio e frasi come pietre che sono sicura facciano parte ingiustamente dell'esperienza di molte altre donne.
L'ho fatto per te.
Mi avrai sulla coscienza.
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| Un disegno di Eliana Como per Riconquistiamo Tutto Opposizione Cgil |
Non li invidio e non mi pento delle mie scelte, anzi.
Molte donne che hanno assistito ad alcune vicende non hanno mai minimamente protestato per l'uso di pettegolezzi e argomenti maschilisti, ma spesso li hanno utilizzati loro stesse, facendosi strumenti della cultura che pensano di combattere ogni 25 novembre.
Molti altri e molte altre, invece, mai mi hanno fatto sentire sola e non hanno nemmeno minimamente pensato di chiedere se tutte quelle allusioni fossero vere.
Io ho imparato una cosa importante e semplice: quando un uomo utilizza alcuni argomenti contro una donna e si professa sua vittima usando alcune specifiche parole, come quelle che ho provato a descrivere in questo post, non ci devono essere dubbi su chi bisogna difendere e appoggiare. Dovrebbe essere questa la sorellanza.

1 commento:
Cara Isabella, chi ti ha conosciuta come ti ho conosciuto io, non può che dire che bella persona che sei, hai sempre aiutato chi aveva bisogno in quel contesto e io ne sono testimone. Hai avuto il tuo riscatto come è giusto che sia. Ti abbraccio forte forte. Maria
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