giovedì 23 agosto 2018

Egittologia

Una quindicina di anni fa, quando ero una promettente ricercatrice e archeologa- l'ho già detto in parecchi post precedenti, ma continuo a citare la mia esperienza perché l'archeologia è per me un metodo di pensiero e non solo di ricerca storica- non apprezzavo per nulla certa divulgazione scientifica alla Quark.

Cipro, 2012
A dire la verità non amavo nemmeno alcune discipline storiche molto affermate e amate, come l'etruscologia e l'egittologia, nonostante la grande tradizione di studi e la curiosità del grande pubblico, perché da giovani per fortuna si è abbastanza coraggiosi e arroganti da avere la necessità di porre confini netti tra quello che faremo per passione e quello che studieremo solo per dovere. Ecco, ancora a 25 anni litigavo furiosamente con i miei compagni di studi, ma anche di vita, sostenendo, per esempio, che l'egittologia non era una disciplina archeologica in senso stretto e argomentavo questa tesi anche in modo convincente, cominciando sin dal nome ottocentesco: perché si parla di archeologia greca, archeologia romana, archeologia medievale, industriale, etc, e non di archeologia egizia? La definizione 'egittologia', al pari di 'etruscologia', era già un manifesto chiaro di una disciplina storica e artistica, ma non certo archeologica. Insomma non trovavo che studiosi e addetti ai lavori devoti all'egittologia applicassero lo stesso approccio alla cultura materiale e allo scavo stratigrafico che era dovuto: li consideravo conservatori e reazionari, mentre a me interessava il piano marxista della cosa.
Negli anni non ho approfondito molto questi aspetti, nonostante varie visite al Museo Egizio di Torino che mi lasciavano una grande insoddisfazione, sia per la mancanza di dati di scavo sui materiali ceramici che io amavo, sia perché civiltà di cui si ricordano solo le tombe, monumentali e non, ma non i villaggi abitati (conosco Deir El Medina, tranquilli! Ho appena scritto che il piano marxista della ricerca storica mi era ben chiaro...) o altro mi hanno sempre lasciato l'amaro in bocca.
Se con l'etruscologia ho quasi fatto pace dopo un bellissimo corso all'ultimo anno di università, grazie al giovane professore a contratto di quell'anno, forse solo il bravo direttore Cristian Greco avrebbe potuto salvare la mia personalissima recensione negativa dell'egittologia, ma credo che entrambi abbiamo avuto decisamente altre cose a cui pensare!

Ma torniamo al punto iniziale, la divulgazione scientifica: stavo parlando di Alberto Angela, ovviamente!
Ebbene, gli archeologi e i ricercatori come me si dividevano (e lo fanno ancora, con mia grande sorpresa) tra chi lo ama immensamente per le doti comunicative e la capacità di semplificazione, oltre al successo di grande pubblico che raccoglie, e chi lo detesta per la scarsa qualità di informazione e approfondimento. Gli haters di Alberto Angela di sicuro lo fanno anche con una buona dose di invidia, perché vivere di divulgazione è sicuramente invidiabile, ma a essere onesti, perché Alberto Angela ha così successo? Solo perché è il figlio, come recitava anni fa il mitico personaggio di Vulvia?
Certo, il longevo e affidabile padre Piero, a sua volta figlio di un medico antifascista piemontese, è di sicuro una garanzia di simpatia e serietà, ma io credo che il segreto sia uno solo: manca completamente di snobismo, cosa che  indispone completamente chi è ignorante (stricto sensu), ma ha voglia di conoscere e imparare iniziando dalle basi, e che invece abbonda nella fascia di serissimi, impegnati, capaci, ma completamente anonimi ricercatori che ho incontrato sulla mia strada, me compresa.
Questa pletora di degnissimi studiosi manca anche del tutto di passione, così impegnata nella ricerca del successo e dello scoop, che provano a inseguire con l'utilizzo acuto dei social e di blog in cui si autorappresentano come distaccati intellettuali sagaci e cool, che non disdegnano però la voglia di apparire belli, fotogenici ma anche rigorosi. Non li sentirete mai parlare di lavoro nella cultura, perché sono precari fieri di esserlo, flessibili e perciò liberi di fare lunghi viaggi che poi descrivono minuziosamente nei loro post, ma soprattutto non "lavorano come guide", piuttosto "si occupano di divulgazione".

Purtroppo la mia generazione è completamente deficiente quanto a umanesimo e passione, umiltà e disinteresse.

Siamo frustrati. Ecco cosa siamo.
Infatti, nonostante la distanza nel tempo, scrivo ancora oggi questo post sull'egittologia che nel bene e nel male ha accompagnato la mia vita personale, la mia passione e la mia ira funesta.

Ci sarà qualcun altro pronto ad ammetterlo?

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