sabato 19 agosto 2017

Lavatrice

Perinaldo, 2024
Per tutti i provinciali che si rispettino, nati come me ai confini dell'Impero e costretti a spostarsi per fare praticamente qualunque cosa di minimamente evoluto e civile come studiare, curarsi e fare sport, il momento di lasciare casa, per esempio per frequentare l'Università, è di sicuro l'occasione giusta per trovare la propria strada e conoscere un po' di mondo, ma soprattutto per vivere da soli, cosa che nel Paese dei Bamboccioni e delle mamme Madonne e disoccupate non è così scontata.
Devo ammettere che non ho avuto un'adolescenza soffocante o genitori troppo apprensivi, ma chi sa dare dei limiti alla libertà?
A distanza di una ventina d'anni posso reputarmi fortunata ad essere cresciuta in un brutto squarcio di provincia sottosviluppata come la mia, perché mi ha donato per sempre lo stimolo della ricerca e dell'altrove che riconosco come tratti distintamente miei tuttora.

Ma dicevo: esistono dosi di libertà sufficienti? Chi potrebbe indicare quando è abbastanza se non noi stessi?

E così, in ogni caso, dopo la maturità non vedevo l'ora di andarmene e di fare ritorno giusto il necessario: benedetta indipendenza!
La prima cosa che ho trovato davvero eccitante nella vita da adulti (paragonabile soltanto a firmarsi le giustificazioni da soli a scuola al compimento della maggiore età!) è stata la lavatrice!

La lavatrice, e allora?

Gestire i lavaggi, decidere le temperature, rischiare di rovinare capi da lavare a mano e tutto il resto, per me sono state le vere espressioni di potenza simbolica (si usava una volta una terribile espressione idiomatica per indicare lo stesso concetto, 'tenere il telecomando', ma ormai ognuno col suo dispositivo smart, capirai a cosa possa servire il telecomando!) e di rottura con una parte importante dell'ideologia della mia famiglia di origine.
Sì, perché la mia famiglia di origine, operai meridionali trapiantati al nord, particolarmente affezionati alle tradizioni orali del paese natio e al loro status sotto-proletario tanto da non abbandonarlo mai, nemmeno a dispetto dell'effettivo cambiamento delle condizioni, mi ha educato alla demonizzazione dello spreco e alla mitologia del risparmio.
A modo loro, come tutti i genitori, ovviamente.
In questo impianto educativo, oltre ai mille proverbi legati alle spese inutili e alla fatica del procurarsi le risorse col lavoro, la lavatrice era un alleato temibile quanto indispensabile, per lo più appannaggio di mia madre (i miei non sono mai stati molto a loro agio con il gender e la fluidità dei ruoli): insomma, sono cresciuta con una specie di tabù della lavatrice, perché si sprecano acqua e corrente, si rovinano i vestiti, si fa troppo rumore, si disturbano i vicini, la centrifuga non è amica dei tessuti, eccetera eccetera.

Se penso all'uso che continuo a fare dei miei soldi e della lavatrice, i miei genitori con me hanno fallito nel loro intento… Almeno in questo.

La lavatrice ha anche segnato il mio passaggio dall'infanzia all'adolescenza e l'ultima volta che ho camminato nel sonno non ho fatto altro che infilare in lavatrice le lenzuola del mio letto e tornarmene a nanna.
Più chiaro di così, cara mamma!

Ogni volta che mi capita di tornare a casa ancora oggi, in visita- in vacanza e in occasioni simili- il viaggio negli anni '90 è inesorabile, per i luoghi, indubbiamente, ma soprattutto per gli atteggiamenti di alcuni attori principali che sono rimasti per lo più identici a loro stessi: ostinatamente ostili al cambiamento. Bontà loro, che invidia!

Si dice che i frutti non cadano lontano dagli alberi originari, forse è per questo che a un certo punto della vita si va alla ricerca delle radici, cose o persone che siano, magari per trovare solide basi per l'ennesimo cambiamento in corso e non temere di perdersi.
Nulla di nuovo, è un tópos anche piuttosto trito, ma sembra inevitabile.

Forse cerchiamo la nostra mitologia, forse basterebbe pensare che è solo acqua passata.

Magari centrifugata.

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