domenica 20 agosto 2017

De rerum natura

Milano, 2015
Come tutte le famiglie normali i miei genitori mi hanno mandato al catechismo. Fino ad allora non avevo imparato molto di religione e religiosità perché i miei non sono mai stati particolarmente attaccati alla fede: si sentivano giustificati dal fatto che erano povera gente costretta a lavorare più che santificare le feste, oltre a dare per assunto l'assioma che siamo tutti cattolici in Italia, si sa, non c'è bisogno di dimostrarlo, no?
Infatti ricordo giusto qualche aneddoto sul prete del paese di origine di mamma e papà, che li aveva anche sposati (e che li metteva in guardia da chi frequentava la chiesa tutti i giorni: "Fratelli, quelli pregano a Dio e fottono il prossimo, sentite a me!"), qualche imprecazione al culmine delle litigate e alla perdita definitiva della pazienza, ogni tanto l'espressione "Gesù piange" utilizzata per strapparmi ubbidienza e poco altro…
Soltanto molti anni dopo in casa dei miei genitori ho visto comparire santini che non avrei mai immaginato di vedere, da Padre Pio a Papa Francesco, e mia madre mi avrebbe anche candidamente confessato di non aver ancora capito come mai nel culto cristiano ci fossero tutte quelle madonne diverse, forse erano sorelle tra di loro? (sic!)

La mia preparazione religiosa di allora, quindi, si doveva tutta agli anni della scuola materna, dove però la maestra Maria, angelo di dolcezza sceso in terra, aveva sempre preferito farci imparare a cantare Bella Ciao a Tu scendi dalle stelle (sempre grazie, maestra!).

Insomma, il primo anno di catechismo ero in seconda elementare e con me c'erano più o meno tutti i miei compagni di classe, più qualcun altro che frequentava scuole diverse da quella del quartiere (ragazzini molto preparati in materia dal momento che frequentavano le scuole private cattoliche di Vallecrosia). Nonostante questa compagnia così familiare, la lezione del catechismo, alla domenica mattina prima della Messa, mi metteva terribilmente di cattivo umore: odiavo quell'ora e mi annoiavo tantissimo, sebbene la ragazza che ci intratteneva fosse giovane e carina, molto più simile a una maestra come quella della scuola che a un precettore, eppure a un certo punto aveva dovuto scovare uno stratagemma per provare ad alzare il nostro livello di attenzione. Aveva inventato una gara a punti con tanto di premio finale: per ogni risposta giusta, domenica dopo domenica, avremmo ottenuto un punteggio e il vincitore avrebbe avuto un bellissimo panda di peluche.
A quell'epoca i peluche erano una ossessione di tutti, irresistibili.
Per farla breve avevo addirittura vinto io quel panda, che svetta ancora nel baule in soffitta insieme agli altri miei pupazzi degli anni '80, ma di divertirmi nemmeno l'ombra: seguivo i discorsi su Gesù per prepararci alla Confessione solo per ingannare la noia e rispondevo alle domande semplicemente per passare il tempo. Sempre con il muso.

Talmente musona che un giorno la catechista gentile aveva deciso di fare un giro di tavolo chiedendo a ognuno cosa pensasse di un altro compagno e a me era stato pubblicamente rimproverato di essere una bambina triste.
Io, triste?!
Lo shock fu così importante che dalla domenica seguente cambiai completamente atteggiamento: mi sforzavo di sorridere e cantare e partecipare.

Avevo scoperto il giudizio degli altri!

Ora sarebbe stato facile dire: "Sentite, sono triste perché mi annoio, non capisco di cosa parliamo qui e cosa veniamo a fare, non vorrei nemmeno seguire la Messa dopo per un'altra ora, ma vorrei stare a casa con mamma, papà e mio fratello o magari passare la domenica in campagna. E poi, scusate, ma cosa dovrei confessare a 7 anni? Quali vizi, peccati, torti posso aver commesso da dover sentire per un'ora storie che mi inducano al pentimento? Come potrei essere felice dopo due ore così? Ma siamo seri!"

E invece avevo 7 anni e stavo imparando che non piacere agli altri era doloroso, quindi mi adattai…

Non mi sono adattata molto negli anni a seguire, soprattutto sull'argomento specifico 'religione', tanto da guadagnare l'epiteto di eretica da mia madre, quella delle sorelle di Maria, capite? Sono figlia dell'ironia, altro che musona!
E ancora oggi mi riesce di sorridere sentendo la vicina di ombrellone decantare i benefici dell'andare a messa tutti i giorni e della preghiera: "Sto meglio, sai? Sono molto più tranquilla e rilassata da quando faccio così".

Con il massimo del rispetto e dell'ironia mi chiedo: ma la religione è mezzo o contenuto? È uno strumento per ottenere altro, oppure è un fine?

Perché anche gli ansiolitici aiutano, in un certo senso, ma non ne farei un credo. Forse.

2 commenti:

Marzia ha detto...

Qualcuno lo fa, un credo degli ansiolitici! E qualcuno fa della religione uno psicofarmaco. Se Dio esiste, si sta facendo grasse risate
Marzia

Isabella Liguori ha detto...

Speriamo che stia solo ridendo di noi allora! ;) Grazie del commento, Marzia!