Sono passati quasi 4 mesi dalla morte del piccolo Willy, il gatto più saggio che io abbia mai incontrato. A volte le avventure emozionali più intense della nostra vita si consumano in pochi mesi e soltanto a posteriori abbiamo modo di prenderci il tempo necessario per interiorizzarle davvero: troppo tardi, resteranno comunque indigeste, come un uovo sodo che non va né su né giù citando quel primo Virzì di fine anni '90, e io le uova sode proprio le detesto.
Sono riuscita a cancellare i segni delle unghie di Willy dagli stipiti delle mie porte di legno soltanto sabato scorso e non è stata rimozione, è stata al contrario una celebrazione della tristezza.
Non ho mai apprezzato la psicologia a buon peso chiamata in campo per dare consigli banali secondo cui il primo modo di superare un dolore sia accettarlo: il dolore non si supera, non si archivia e anche l'accettazione non presume il volgare voltare pagina (metafora usata impropriamente peraltro: in quale libro sfogliando le pagine si fa a meno di quanto già letto?). Sono convinta che non esista nulla di più triste dell'accettazione e che la tristezza sia l'unico sentimento adatto a descrivere questo tipo di sensazione, perché rappresenta la totale consapevolezza di non essere in grado di alcuna reazione: accettazione pura.
Insieme a questi pensieri, passando il pennello sui solchi materiali di Willy (unità stratigrafiche negative direbbero gli archeologi dell'elevato se mai si imbattessero in un manufatto così conciato) mi rimbombano in testa anche altre opinioni, assolutamente non mie, che si materializzano nelle parole: 'era solo un gatto'.
Sono suoni che dovrebbero rendere più lieve il senso di tristezza e so che arrivano dalle radici più nascoste della mia educazione moralistica: le ho dette anche io, per giustificarmi e sentirmi normale rispetto al senso comune della mia società quotidiana, ma non sono parte di me.
Neppure mia madre, la donna con le reazioni più zen del mondo, mi ha mai detto quelle parole.
Perché allora sminuire i sentimenti? Abbandoniamoci ogni tanto.
Sei andato via senza un lamento, in un attimo, con la testolina tra le mie mani tanto eri stanco. Penso quasi
tutti i giorni al tuo corpicino steso sul tavolo del veterinario, solo di una solitudine immensa e non riesco a trattenere le lacrime al pensiero. Chissà dove sei, lasciarti lì è stato tremendo e colpevole.
Ora capisco perché nelle tombe egizie si sono trovate anche mummiette di gatti.
Ricordiamoci di essere tristi: la bellezza della tristezza è insostituibile.
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