| Milano, 2015 |
Era di Giorgio Boatti e il sottotitolo fece scuola: la perdita dell'innocenza è un'espressione diventata topica. Quel libro, insieme ad alcuni altri sullo stesso tema, era a casa mia, nella libreria in camera di mio fratello.
Nessuno mi aveva mai parlato della storia recente del nostro Paese: per la maturità al liceo era uscita filosofia e così ci eravamo fermati al secondo dopo guerra e alla logica della guerra fredda in modo molto generico e con grande disappunto del professor Claudio A.; col programma di letteratura italiana eravamo andati ben oltre, fino a Francesco Biamonti, un autore contemporaneo della nostra zona, e il professore Francesco "Ciccio" I. (un altro dei grandi maestri che ho avuto la fortuna di incontrare) aveva indugiato moltissimo sul nostro mito, Pier Paolo Pasolini, che pure di stragi e strategia della tensione avrebbe voluto farne un romanzo.
Tutti almeno una volta abbiamo letto o citato quell'editoriale per il Corriere della Sera in cui Pasolini scriveva quello che ogni intellettuale degno di questo nome avrebbe dovuto scrivere: io so ma non ho le prove. Non parlava di responsabilità penali o di esiti processuali. Parlava di storia.
Fino ad allora mi ero occupata parecchio di storia, anche se antica; ora la questione non era più la ricostruzione storica di fatti lontani, bisognava capire.
Sono stata a Milano in piazza Fontana poche settimane fa. La Banca dell'Agricoltura è ancora lì, di fronte al palazzo vescovile e a pochi passi da piazza Duomo.
Tutto quello che siamo è iniziato qui: il decennio prima della mia nascita è stato denso di morti, contraddizioni, occasioni mancate, sangue, bugie. Riguarda tutti anche oggi.
Non mi stancherò mai di leggere e approfondire sulle bombe di piazza Fontana e sulle altre stragi nere che hanno colpito il nostro Paese: hanno lasciato un solco nella nostra società civile e tanta ignoranza e inconsapevolezza.
Soprattutto nessun colpevole...
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