Se c'è una cosa che agli Italiani non perdono è la propensione naturale e connaturata che mostrano verso le consorterie e il clientelismo, quella tradizione di lunga durata che parte dalla storia romana e arriva fino alle associazioni massoni e mafiose. Nel nostro Paese vige la legge dell'amico potente e della conoscenza, del passaparola e della raccomandazione, come in una grande provincia sottosviluppata.
Ne facciamo esperienza tutti durante la nostra vita, da quando cerchiamo lavoro all'iscrizione all'Università, dalla vita di partito fino agli ambienti di lavoro.
Mi direte: è normale avere una propensione alle reti sociali e al mutuo soccorso e cooperativistico, soprattutto tra i membri di una comunità; le associazioni sono un bisogno primario degli esseri umani e rispondono alla necessità di una dimensione politica.
Vero. Il problema è quando queste associazioni tendono a violare leggi, regole, buon senso e comune senso di giustizia per favorire alcuni a scapito di altri, sostituendosi al concetto di merito: insomma, chi arriva a certe posizioni grazie all'appartenenza a gruppi specifici, lo merita? Non dovremmo chiedercelo?
La competizione democratica dovrebbe avere come base di partenza delle regole del gioco chiare, senza variabili dopanti, e le competenze dovrebbero essere l'oggetto del "contendere", se banalmente la mettiamo sul piano dell'etimologia.
Mi direte ancora: anche il sindacato è un'associazione e nasce con lo scopo della tutela mutualistica nelle Camere del Lavoro di fine '800 a Milano, Torino, Bologna e in rappresentanza prevalentemente di alcuni settori produttivi (agricoltura e industria in primis).
Verissimo. Ma il sindacato, nato con spirito corporativo, si è arricchito nella sua storia dentro la Resistenza di elementi politici più generali e inclusivi; il sindacato non è assistenzialismo, è autotutela, auto organizzazione, è condividere ed essere solidali e non delegare ad altri la rivendicazione e la lotta per i propri diritti, cosa che implica anche non farli discendere da un'autorità o da un ipse dixit.
Il sindacato per me è sostituire il professionismo con militanza e partecipazione e sostenere il primato dell'attività politica su quella tecnica e di consulenza. Insomma, un sindacato che affida a se stesso il solo scopo di contrattare e negoziare senza occuparsi di politica generale è davvero corporazione.
Nel sindacato ho cercato il bisogno di appartenenza che ormai solo nel lavoro si riesce a compiere, perché nella vita sociale e politica si è consumato un impoverimento morale e strutturale sempre più evidente in cui le clientele hanno vinto: non ho mai avuto una tessera di partito, mentre non ho avuto dubbi sulla tessera della Cgil.
Nonostante sia cresciuta tre i mille proverbi dei miei genitori e mi riecheggino spesso le parole di disincanto imparate da loro, non mi arrendo a credere che "la politica è una cosa sporca" e non mi rassegno nemmeno a pensare che non ci sia scelta per chi è vincolato dagli obblighi e dai favori delle conventicole, oppure al contrario che se non si è nel giro giusto non si arriverà mai da nessuna parte: abbiamo tutti una scelta. Sempre. E la scelta dipende da cosa decidiamo che sia prioritario rispetto ai nostri valori, nonostante molto spesso non abbiamo scelto di trovarci in una certa situazione, perché non tutto dipende da noi e dal nostro controllo, non siamo mica onnipotenti!
Io le mie scelte le riconosco e mi somigliano: ho deciso di non assecondare le logiche da "cerchio magico", perché le persone e la loro dignità valgono di più degli impegni di certi gruppi, e ho scelto di provare sulla mia pelle un modello diverso fatto di autotutela e solidarietà, senza nessun "grande vecchio" a coprirmi le spalle, è vero, ma nemmeno a tapparmi la bocca.
Magari funziona.
Ne facciamo esperienza tutti durante la nostra vita, da quando cerchiamo lavoro all'iscrizione all'Università, dalla vita di partito fino agli ambienti di lavoro.
Mi direte: è normale avere una propensione alle reti sociali e al mutuo soccorso e cooperativistico, soprattutto tra i membri di una comunità; le associazioni sono un bisogno primario degli esseri umani e rispondono alla necessità di una dimensione politica.
| Ventimiglia, 2017 |
La competizione democratica dovrebbe avere come base di partenza delle regole del gioco chiare, senza variabili dopanti, e le competenze dovrebbero essere l'oggetto del "contendere", se banalmente la mettiamo sul piano dell'etimologia.
Mi direte ancora: anche il sindacato è un'associazione e nasce con lo scopo della tutela mutualistica nelle Camere del Lavoro di fine '800 a Milano, Torino, Bologna e in rappresentanza prevalentemente di alcuni settori produttivi (agricoltura e industria in primis).
Verissimo. Ma il sindacato, nato con spirito corporativo, si è arricchito nella sua storia dentro la Resistenza di elementi politici più generali e inclusivi; il sindacato non è assistenzialismo, è autotutela, auto organizzazione, è condividere ed essere solidali e non delegare ad altri la rivendicazione e la lotta per i propri diritti, cosa che implica anche non farli discendere da un'autorità o da un ipse dixit.
Il sindacato per me è sostituire il professionismo con militanza e partecipazione e sostenere il primato dell'attività politica su quella tecnica e di consulenza. Insomma, un sindacato che affida a se stesso il solo scopo di contrattare e negoziare senza occuparsi di politica generale è davvero corporazione.
Nel sindacato ho cercato il bisogno di appartenenza che ormai solo nel lavoro si riesce a compiere, perché nella vita sociale e politica si è consumato un impoverimento morale e strutturale sempre più evidente in cui le clientele hanno vinto: non ho mai avuto una tessera di partito, mentre non ho avuto dubbi sulla tessera della Cgil.
Nonostante sia cresciuta tre i mille proverbi dei miei genitori e mi riecheggino spesso le parole di disincanto imparate da loro, non mi arrendo a credere che "la politica è una cosa sporca" e non mi rassegno nemmeno a pensare che non ci sia scelta per chi è vincolato dagli obblighi e dai favori delle conventicole, oppure al contrario che se non si è nel giro giusto non si arriverà mai da nessuna parte: abbiamo tutti una scelta. Sempre. E la scelta dipende da cosa decidiamo che sia prioritario rispetto ai nostri valori, nonostante molto spesso non abbiamo scelto di trovarci in una certa situazione, perché non tutto dipende da noi e dal nostro controllo, non siamo mica onnipotenti!
Io le mie scelte le riconosco e mi somigliano: ho deciso di non assecondare le logiche da "cerchio magico", perché le persone e la loro dignità valgono di più degli impegni di certi gruppi, e ho scelto di provare sulla mia pelle un modello diverso fatto di autotutela e solidarietà, senza nessun "grande vecchio" a coprirmi le spalle, è vero, ma nemmeno a tapparmi la bocca.
Magari funziona.
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