sabato 28 aprile 2018

Il lavoro rende liberi

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Conosciamo tutti a memoria queste poche parole del primo articolo della nostra Costituzione, ma non sono sicura che ci siamo soffermati abbastanza a capirne il significato.
Perché una repubblica democratica deve essere fondata sul lavoro? Cosa rappresenta? Perché non compaiono altri valori fondanti come libertà, giustizia o uguaglianza prima di tutto?


S. Germano Chisone, 2025

Credo che nessun altro soggetto politico quanto le donne possa conoscere esattamente quale portata abbia il lavoro nella conduzione consapevole della propria esistenza e quanto l'autodeterminazione avanzi di pari passo e coincida con la capacità di essere autonomi economicamente. Lo dico da un punto di vista parziale e partigiano, certo, ma nella storia atavica di sopraffazione delle donne il mancato riconoscimento della professionalità, la negazione del salario (se penso ancora a tutto il lavoro gratuito che maggiormente le donne "regalano" alla società in varie forme) e della parità di trattamento, ogni sorta di ostacoli all'uguaglianza delle condizioni di accesso e "competizione" hanno segnato e continuano a rappresentare un segno chiaro di discriminazione. Non è un caso che le donne in Italia abbiano conquistato il diritto di voto solo con la Costituzione Repubblicana ed è piuttosto evidente che nel contesto storico in cui è nata la Costituzione solo il lavoro poteva assumere quella posizione di primato assoluto come elemento da cui scaturiscono uguaglianza e dignità per tutti.
Soltanto il lavoro, indipendentemente dalle condizioni di nascita e patrimonio, può davvero emancipare le persone e trasformarle in soggetti politici indipendenti e non eterodiretti; è esperienza fondante e valore di inclusione e relazione per ogni essere umano, ma è anche spesso terreno di ingiustizia e isolamento, come al contrario di solidarietà e lotta.

Tra le cose che più mi colpivano da giovane rispetto a queste riflessioni sul lavoro c'erano alcuni paradossi, la mia passione.
Il primo, classico, aveva a che fare con l'espressione "marzulliana": vivere per lavorare o lavorare per vivere? Di sicuro in questa frase idiomatica si intravvede una interessante questione: il tempo libero e la conquista della libertà dal lavoro. In che limiti il lavoro è strumento di emancipazione e consapevolezza? Serve a conquistare libertà o ci toglie spazi liberi? E quando diventa schiavitù- per i poveri del mondo- o dipendenza- per i più fortunati dall'altra parte del globo? Anche il lavoro ha bisogno di misura e giustizia, di essere regolamentato e distribuito, come la ricchezza: è valore assoluto solo il lavoro dignitoso.
All'opposto, un altro paradosso a me tutt'oggi incomprensibile, se non in termini di tragica, disumana ironia, è rappresentato dalla citazione che ancora troneggia terribile sul cancello di Auschwit, arbeit macht frei- il lavoro rende liberi: non si può che rabbrividire al pensiero dell'accostamento del lavoro alla morte sistematica dei campi di sterminio.
La morte dei "campi di lavoro" si collega al terzo paradosso che ha accompagnato la mia crescita e che ancora è di triste attualità: le morti bianche. Come si può morire di lavoro? Sono figlia e nipote di muratori, conosco il rischio e la paura delle cadute dalle impalcature, degli schiacciamenti, dei crolli e dei "carichi pendenti", ma anche l'usura silenziosa e la morte progressiva delle malattie professionali: l'udito debole, le cartilagini consumate, le ginocchia offese, il respiro spezzato dalle polveri da macerie... Conosco anche io i cantieri in prima persona e mi sono occupata presto e a lungo di salute e sicurezza.

Proprio in questi giorni posso dire di aver portato agli estremi il concetto di lavoro nella mia vita, anche nel percorso sindacale che ho avuto la fortuna di fare fino a oggi: il lavoro è rigenerazione e dignità, ritorno alle radici e coscienza di classe; mai annuncio o retorica, ma sempre concreta occasione di praticare i manifesti d'intenti. Soltanto un umanesimo del lavoro, col ritorno al centro del valore delle persone e della loro vita può arginare il sistema disumano attuale, in cui inclusione ed estensione dei diritti sembrano dei miraggi: credo che saper stare vicino alle persone sia una delle chiavi per fare attività politica e sindacale oggi.

Torniamo all'Articolo 1, le radici: per una volta non a parole.

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