| Marzamemi, 2019 |
Ho amato molto lo studio dell'antichità sin da giovane, lo sapete, soprattutto per la possibilità di restituire alla nostra storia materiale lontana uno spirito vivido e vicino a noi, fatto di sentimenti e compassione assolutamente uguali ai nostri, senza tempo, e quindi di riflettere su quanto il passare dei secoli ci abbia lasciato impermeabili alla saggezza e al saper vivere.
Studiare la storia antica con le fonti materiali, insomma l'archeologia, è anche un'occasione privilegiata (che fortuna, eh?) di meditare sulla vita e sulla morte, per la quantità di contatti con tombe, sepolture, ossa umane, messaggi funerari che continuamente porta alla disponibilità degli studiosi. Per esempio, davanti a una sepoltura multipla tardo antica utilizzata più volte nel corso delle generazioni, che ho dovuto svuotare di corsa durante uno scavo di emergenza, ho deciso che mai mi sarei fatta seppellire in terra e che avrei optato per l'incinerazione: all'undicesimo cranio umano riposto alla bell'e meglio nelle cassette per i depositi di chissà quale Soprintendenza ci stava, che dite?
Recentemente ho avuto modo di parlare di queste cose con mio padre: Michele senza saperlo ha la stessa paura che gli antichi cercavano di esorcizzare con la formula sit tibi terra levis e mi ha confidato che preferirebbe essere sepolto nella terra, piuttosto che in un loculo, ma che non vorrebbe quelle coperture pesanti in marmo in superficie: troppo peso sul corpo e sul cuore!
Sono in tanti a non amare i colombari, nome di certo più gentile per indicare le sepolture a muro. Forse stare in un casellario tipo bacheca non piace a nessuno, forse la questione è antica e sta nello status symbol, se anche in epoca romana erano le tipiche tombe per i liberti o per chi non poteva permettersi una tomba di famiglia con recinto e terreno privato.
Fa sorridere di tenerezza l'interesse che nutriamo per il nostro ultimo, ignoto, futuro posto letto; invece è molto più interessante la concezione per cui intendiamo ancora la morte come un viaggio da fare leggeri. Senza pesi inutili e opprimenti.
Eppure in vita siamo ancora troppo disposti a essere pedanti e appesantiti, gravati da paure e zavorre inutili, sensi di colpa e moralismo; ecco perché almeno in eterno speriamo di non aver
e nulla di pesante addosso e lo auguriamo da sempre alle persone che amiamo.
Dovremmo essere sempre leggeri senza essere superficiali, sin da vivi, praticando il coraggio della libertà: un po' di leggerezza e di stupidità, direbbe il caro Franco Battiato.
2 commenti:
Quanto è vero mia cara,si è sempre dedicato più tempo e ancora oggi troppi soldi per asicurarsi il posto migliore dopo il trapasso.Dimenticando che il corpo diventa un inutile scatola senza sorpresa.Meglio spendere il tempo a guardarci dentro e a cercare di fare e dare il meglio
Sono proprio d’accordo. Fare e dare il meglio mi piace. Grazie del tuo commento!
Posta un commento